Il Santo della Quaresima
La festa liturgica di S. Francesco di Paola capita per lo più in Quaresima; ma non è per questo che egli è il Santo della Quaresima. E’ chiamato così perché ha scelto di seguire Gesù facendo propri, per tutta la vita, gli ideali evangelici che la Chiesa propone durante la Quaresima. Su questa strada ha indirizzato anche quanti lo hanno voluto e vogliono anche oggi seguirlo: i frati, le monache e i secolari del Terzo Ordine, dei quali si compone l’Ordine dei Minimi.
Il suo progetto di vita nella storia della spiritualità cristiana è indicato con il nome di “Vita quaresimale”.
Fin da ragazzo San Francesco ha scelto di seguire questo cammino di vita spirituale, che affonda le sue radici nella spiritualità degli antichi Padri ed ha trovato la sua manifestazione soprattutto nell’astinenza dalle carni e derivati; cibi che egli, nella Regola lasciata ai suoi figli, chiama cibi pasquali.
La tradizione ascetica, anche fuori del cristianesimo, ha visto, nella pratica di tale tipica forma penitenziale, un aiuto efficace per un cammino di purificazione che rende l’uomo capace di investigare la verità (alcuni filosofi del passato), di facilitare la comunione con Dio e di instaurare, di conseguenza, rapporti nuovi con se stessi e con gli altri.
Di S. Francesco di Paola si dice che era austero con se stesso, ma umano con gli altri e che era dedito alla contemplazione. Tre indicazioni, queste, che esprimono al meglio il suo mondo interiore e la sua proposta di imitare Cristo. Egli non si chiude in una austerità arida e non si isola in un mondo tutto suo, impermeabile agli influssi della realtà esteriore, sia quella degli uomini, sia quella dei beni di questo mondo. Il mondo degli uomini e delle cose è presente nella sua esperienza con tutta la sua forza; alcune volte tale forza si esprime con la serenità e la gioia, altre volte porta drammi e dolori e diventa perciò insistente richiesta di aiuto. Egli non fugge, ma si lascia contagiare da tale forza, ed è in funzione di questo mondo che vive la sua austerità, secondo le parole della Scrittura: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?” (Is 58, 6).
L’ascetica cristiana è forza di liberazione, che rinnova l’uomo e lo libera da quei condizionamenti che gli impediscono di realizzare un rapporto autentico con se stesso, con Dio, con gli altri, con la natura che ci circonda.
Se percorriamo la vita di S. Francesco alla luce di questa verità, ci accorgiamo come egli abbia coltivato in se tale forza e l’abbia dimostrata nei suoi comportamenti.
E’ stato un uomo dal perfetto equilibrio interiore.
E’ stato sempre convinto della sua vocazione e delle scelte che lo Spirito gli suggeriva, per cui non si arrese mai di fronte a quelli che gli contestavano il genere di vita praticato (l’inviato di Paolo II o i suoi stessi frati qualche volta renitenti ad accettare la penitenza proposta), o allo stesso pontefice che non gli voleva approvare una Regola tutta propria (egli ha insistito fino ad ottenerla, sicuro della giustezza della sua richiesta). E stato capace di adattarsi ad ogni situazione: il cronista francese di corte ha notato che Francesco si comportava a corte come se fosse stato sempre educato in quell’ambiente (l’inviato di Paolo II lo aveva chiamato “villano e rustico”). Fu imperturbabile dinanzi agli avvenimenti della vita, anche quelli difficili: accetta tutti i cambiamenti di vita che Dio gli impone attraverso gli avvenimenti, fino a recarsi in Francia all’età di 67 anni; non ha paura di affrontare i soldati del re di Napoli venuti per arrestarlo, nonostante la gente lo sollecitasse a scappare o a nascondersi; accetta l’umiliazione di essere tacciato, pubblicamente, in chiesa, di essere un imbroglione; non reagisce mai con ira dinanzi alle persecuzioni che deve subire da ogni parte. Tutto è accolto da lui e assimilato con l’interiore certezza che l’amore di Dio è una grande forza che rende capaci di sopportare tutto. “A chi ama Dio tutto è possibile”: è stato il suo motto, con il quale ha affrontato con coraggio e serenità la vita.
La sua vita è stata sempre orientata verso Dio.
La ricerca di Dio è stata dominante nella sua vita. L’ha attuata con la preghiera, ma anche attraverso la conformazione della sua vita alla volontà di Dio: pensare secondo Dio e vivere nel timore di Dio erano due esortazioni che ritornavano frequenti nelle sue conversazioni. E stato questo, in ultima analisi, il grande contributo che egli ha dato alla soluzione dei grandi problemi politici dei quali si è occupato stando alla corte di Francia: orientare la politica verso Dio e far scaturire la soluzione delle varie questioni dalle convinzioni di fede. I suoi atteggiamenti, le sue scelte, anche in campo sociale, per chiedere giustizia per gli oppressi, derivavano sempre dal rapporto vivo con il Signore. Gli si leggeva sul volto la comunione interiore stabilita con lui. Hanno scritto di lui: “o pregava o dava l’impressione dell’orante”. Quanti l’incontravano se ne ritornavano edificati dall’esperienza del divino che trasmetteva e invogliati a comportamenti di vita migliori. Orientato verso Dio, ha sentito il bisogno di orientare anche gli altri verso Dio. E’ nata così la sua azione pastorale: “Diceva al popolo, convertitevi dai vostri peccati, perché Dio vi aspetta a braccia aperte. Aveva riportato così tanta gente sulla buona strada”.
Con la natura ha avuto un rapporto riconciliato.
Anche nei confronti della natura ha dimostrato la forza liberatrice della sua ascesi. I prodigi compiuti per dominare le forze della natura, a volte avverse o di ostacolo per l’uomo (il mare sul quale transita sul mantello o che calma, il fuoco che prende tra le mani, le pietre fermate mentre precipitavano sugli operai, l’acqua sgorgata al tocco del bastone), la familiarità dimostrata con gli animali, la gioia e la pace interiore che gli infondeva il contatto diretto con la natura, sono stati i segni concreti di questa liberazione. L’ascesi non è disprezzo della natura, ma riequilibrio d’un rapporto che riporta l’uomo, che prende le distanze dai beni di questo mondo, al vero dominio sulle cose voluto da Dio per l’uomo: il rispetto e la cura di quanto ha ricevuto in dono. L’uomo che vuole rispettare la natura e custodirla deve sacrificare qualche suo desiderio di utilizzo sfrenato di esso, ma è un sacrificio necessario, che ritorna a beneficio dell’uomo stesso. In questo senso l’ascesi riconcilia l’uomo con la natura.
L’amore sincero verso gli altri.
La vera forza liberatrice dell’ascesi S. Francesco di Paola l’ha esercitata nei confronti degli altri. La sua umanità, l’accoglienza esercitata verso tutti, la sensibilità dimostrata verso i problemi e le difficoltà degli altri, sono state frutto di quella purificazione interiore che l’ascesi porta con sé: “Il digiuno rende il cuore contrito ed umiliato”, ha scritto nella Regola per i frati. Il culto dell’umiltà, legato a filo doppio con il digiuno, rende capaci di “essere benigni, modesti ed esemplari”, “di onorarsi a vicenda nella carità”, “di perdonarsi scambievolmente fino a dimenticare il torto ricevuto”: sono le semplici, ma grandi raccomandazioni lasciate nella Regola per costruire la comunione nella comunità. Anche la sua azione sociale è nata dallo sforzo di purificazione dall’egoismo. Se i poveri e gli oppressi del suo tempo hanno avuto fiducia in lui ed hanno deposto nelle sue mani i loro problemi, questo dipese dal fatto che essi si sono accorti che in quell’Eremita non c’erano interessi egoistici. Egli era libero al punto di poter servire con autenticità la causa della giustizia. E lo ha fatto con fermezza, senza mai venir meno, però, al rispetto e all’obbedienza dovute all’autorità.
In questo tempo quaresimale, ma soprattutto in questo tempo di grandi cambiamenti, qual è il nostro, la Chiesa addita ancora a noi la “santità quaresimale” di S. Francesco di Paola. Ci ricorda ancora, attraverso il suo esempio, che la penitenza proposta da Gesù (Mc 1, 15) è in funzione di quella vita che Egli è venuto a portarci (Gv 10, 10).
La santità di S. Francesco di Paola ci ricorda che la penitenza non umilia l’uomo, ma lo eleva, ne affina i sentimenti e, proiettandolo verso la contemplazione di Dio, lo rende capace di servire l’uomo con più libertà e con più dedizione.
P. Giuseppe Fiorini Morosini
Correttore Generale dei Minimi
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